martedì 22 dicembre 2009

L'unità della resistenza: il punto di vista comunista

Le forze di cui disponeva la Resistenza erano certamente non omogenee sul piano politico. Una buona parte dello spettro politico del tempo trovava, sia pure in proporzioni diverse, la sua rappresentazione. Si andava da certi settori di monarchici, (specialmente dopo l'8 Settembre) passando dai liberali, da organismi democratico-borghesi, fino ai socialisti, ai comunisti e persino agli anarchici. In modo abbastanza schematico, potrei, senza nessuna pretesa di essere esauriente ricordare come, accanto a coloro che arrivarono alla Resistenza seguendo un ben preciso itinerario ideologico di militanza nei partiti messi fuori legge dal fascismo, si potessero trovare anche molti giovani per i quali la scelta antifascista derivava da proprie esperienze personali, e segnava la propria maturità interiore. Questo rende l'idea della varietà della composizione umana dei partigiani, anche se certamente corre i rischi tipici di tutte le schematizzazioni, ossia quelli di generalizzare astrattamente fenomeni ben più complessi.

Al momento del ritorno di Togliatti dall'esilio, Marzo 1944, i comunisti collaboravano si, con le altre forze della resistenza, ma solo, per così dire, nell'immediato. La prospettiva della rivoluzione socialista, sentita come prossima a venire, portava a considerare le altre forze antifasciste un po' come il nemico di domani, dal quale si pensava occorresse mantenere le distanze. In ogni caso, il settarismo di Bordiga aveva lasciato il segno, portando il partito a considerare con sospetto ogni organismo esterno.
Qui occorre una digressione cronologica; su come il PCI si sia rapportato alle altre forze antifasciste, dall'avvento al potere del fascismo, fino a quella che passerà alla storia come "la svolta di Salerno". Per ridurre ( e condurre) il discorso ad un esempio estremo, ricorderò lo scetticismo (per non dir peggio)del partito di fronte al fenomeno (schiettamente popolare) dei cosiddetti "Arditi del Popolo"la cui composizione politica, (socialisti, comunisti, anarchici) era comunque più omogenea di quella che avrebbe preso le armi contro il fascismo in seguito. Ma nel frattempo, tra le altre cose, c'era stata la lezione della guerra civile spagnola, essenziale nella formazione di Togliatti, che aveva, a prescindere dagli esiti, e dalle problematiche irrisolte che poneva, mostrato l' imprescindibilità della collaborazione antifascista di forze politiche eterogenee. Dal punto di vista ideologico, il terreno era stato preparato sia dal lavoro di Gramsci, (necessità di una battaglia di egemonia all'interno della società civile) sia dalle conclusioni del settimo congresso del l'Internazionale Comunista del 1935, dove era stata analizzata ideologicamente la necessità di fronti popolari antifascisti comprendenti anche forze democratico borghesi. Il risultato più”formale” nell'immediato fu l'entrata di Togliatti nel governo Badoglio. Togliatti insistè per far sì che il fronte di unità nazionale si mantenesse il più a lungo possibile anche nel dopo-Liberazione, (e che poi l'inevitabile scontro si mantenesse nei binari delle norme costituzionali) evitando così il ripetersi della situazione della Grecia, dove, all'indomani della liberazione, le divergenze tra gli antifascisti sfociarono in scontro aperto. Con i risultati che sappiamo. Ancora oggi, l'ANPI cerca di portare avanti gli ideali dell'antifascismo nello spirito unitario di “fronte popolare” che caratterizzò la Resistenza.

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