giovedì 28 gennaio 2010

Sviluppi del saggio del plus valore: In che modo il reddito si è trasferito dai lavoratori ai padroni e il mito della “redistribuzione”

E' di fronte al cianciare riformista delle sinistre più o meno di governo o con aspirazioni tali, e dei sindacati concert azionistici, che nell'arco di trent'anni il reddito pro-capite italiano si è via via trasferito dalle tasche dei lavoratori a quelle dei padroni.
Negli anni settanta, infatti, la ricchezza prodotta sul territorio italico si distribuiva, in termini di reddito, secondo un rapporto che rasentava approssimativamente il 60% in favore dei salari e il 40% in favore del profitto. Oggi, anno del signore 2009, dopo la caduta del muro di Berlino e il conseguente trionfo del libero mercato e della New Economy, tale rapporto di distribuzione è mutato, anzi si è del tutto ribaltato in 60% a favore del profitto e 40% a favore del salario.
Le conseguenze socio-economiche di tale processo sono sotto gli occhi di tutti, (crisi economica, disoccupazione dilagante, famiglie che stentano ad arrivare a fine mese,ecc.) tanto che gli stessi esponenti centristi e delle sinistre riformiste, i quali hanno sostenuto governi fautori delle leggi di precarizzazione del lavoro, oggi si trovano concordi nel dire che è necessaria una redistribuzione del reddito in favore del salario. Prima di andare a vedere come questi illustri signori intendono suggerirci la soluzione del problema, si deve necessariamente rispondere ad una domanda: In che modo il reddito si è trasferito dai lavoratori ai padroni? La descrizione di tale processo, checché ne dicano i liberisti e i Bertinottiani, la troviamo già esplicata nel libro primo de Il Capitale di Marx. Marx, infatti, individua il saggio del plusvalore ( P) come: profitto (p) diviso il salario (s): P= p/s
nel caso di trent'anni fa:
P= 40/60= 0.6 pari al 2/3%
nel caso odierno:
P= 60/40= 1.5 pari al 150%
Considerando quindi il saggio del plusvalore all'interno di una singola giornata lavorativa di 8 ore
P = pluslavoro / lavoro necessario
nel caso di trent'anni fa: P = 3 ore 12 min. / 4 ore 48 min. = 0.6 ovvero 2/3%
nel caso odierno: P = 4 ore 48 min. / 3 ore 12 min. = 1.5 ovvero 150%
Tutto ciò è dovuto sostanzialmente all'aumento del capitale ( c) investito dalle singole aziende nei macchinari o in spese superflue ( ad esempio indennizzi milionari, rappresentanza e pubblicità). Ed è proprio per far fronte a questi costi che le aziende hanno via via costretto gli operai a raddoppiare la produttività. Quel che si produceva in 8 ore adesso va prodotto in 4.
P= p/ c+s all'aumento c per forza di cose bisogna che s diminuisca e che, soprattutto, aumenti p
e' evidente dunque, anche senza approfondire ancora, che gli operai, all'incirca dall'inizio degli anni novanta, hanno iniziato a lavorare, all'interno delle 8 ore di lavoro circa 3 ore per il salario e 5 ore per il profitto delle aziende. Se a tutto ciò aggiungiamo anche gli straordinari forzati, lo sfruttamento di manodopera a nero e/o interinale e quindi sottopagata, l'evasione fiscale tipica della maggioranza delle aziende italiane, la riduzione delle spese per la sicurezza e per la previdenza sociale, allora si che abbiamo il quadro completo degli enormi profitti accumulati nel tempo dai padroni. Di fronte a tutto ciò, i nostri cari amici riformisti si affannano ancora a dire che si deve “ ridistribuire” il reddito. Su ciò siamo d'accordo. Ma come intervenire per far si che ciò accada? Si pensa davvero, alla luce dei meccanismi sopracitati, che sia sufficiente una tassa sulle rendite? O che magari ci si debba limitare a mettere mano al sistema di tassazione? Certo, queste piccole riforme servirebbero a dare ai lavoratori qualche piccolo contentino, (50 Euro mensili)?, mentre non andrebbero ad intaccare minimamente gli enormi profitti dei padroni. L'unica soluzione, logicamente e matematicamente possibile, è quella di diminuire il profitto aziendale all'origine, ovvero proprio là dove viene creato:di fronte ad una crisi di sovrapproduzione senza precedenti, innanzi al dilagare della disoccupazione e della cassa integrazione, l'unico modo per salvaguardare il salario operaio è promuovere una lotta duratura e continuativa per la riduzione progressiva dell'orario di lavoro a parità di paga. Così facendo il reddito si andrebbe ridistribuendo da solo, poiché ogni singolo operaio lavorerebbe meno, sottraendo il profitto alla produzione, e in secondo luogo si procurerebbe un' assorbimento generale della manodopera disoccupata o cassaintegrata. Questo certo, non è il fine ultimo delle lotte operaie, ma essenzialmente rappresenta il fulcro di quelle rivendicazioni in grado di scassinare il sistema capitalista alla radice.
Per dirla con Majakoskj “ …....e il capitalismo sopravvive ancora! ….. anche dormendo s'è fatto più grasso e vispo, s'è sdraiato, spaparanzato sul cammino della storia facendo del mondo il suo letto, la sua mangiatoia. Non è possibile evitarlo, non è possibile girargli intorno, l'unica via è quella di passargli in mezzo, di prenderlo in pieno, di farlo saltare!”

Ruz.

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