venerdì 30 aprile 2010

Intervista a Gianfranco Carboncini


INTRODUZIONE

- Cosa significava vivere nel regime fascista?
Per chi non era d’accordo col regimesignificava paura, fame e miseria, bastava non avere la tessera del fascio per diventare un perseguitato politico. Al contrario se appoggiavi il regime avevi viveri, una posizione sociale più alta, potevi fare carriera; insomma avevi il futuro assicurato per te e per i tuoi figli. Un esempio è appunto il cibo: chi aveva la tessera riceveva un etto di pane, anche se non si sapeva bene con cosa era fatto, un etto e mezzo chi lavorava, e così per lo zucchero e altri cibi elementari.
Vivere nel regime fascista significava vivere in un indottrinamento che partiva fin da quando eri piccolo. Nelle scuole primarie eri “figlio della lupa”, dopo “balilla”, successivamente “giovane fascista”: chiaramente solo i figli delle famiglie benestanti arrivavano a quest’ultima categoria, cioè chi frequentava i licei e università; essi erano formati per diventare la futura classe dirigente del regime.
La repressione nei confronti degli antifascisti si inasprì al momento dell’occupazione nazista con la nascita della Repubblica di Salò. Furono chiamati alla leva i giovani dai 17 anni in su, chi rifiutava diveniva automaticamente un renitente alla leva, quindi fuori legge, quindi perseguitato e se preso fucilato senza processo.
In quel momento storico le vie erano tre: o rimanere fedele al fascio e diventare repubblichino, o entrare nelle brigate partigiane, o darsi alla macchia. La maggior parte della gente fu rifugiata, spesso presso i contadini, o si unì a i partigiani sulle montagne.
- Chi ti ha portato a conoscienza dei “volontari per la libertà”?
Negli ultimi anni della guerra, il partito comunista, socialista e d’azione si impegnarono a fare propaganda in modo che i giovani antifascisti si arruolassero nei nuovi corpi dei volontari per liberare, in particolar modo, l’Italia settentrionale.
Fu un’importante decisione politica presa appunto da tutti i partiti antifascisti.
- Vi erano volontari donne nell’esercito di liberazione?
No, nell’esercito ancora non era permesso loro di entrare. Nelle fazioni partigiane invece, il ruolo delle donne fu molto importante, alla pari di quello degli uomini.
Nell’esercito l’uniche donne presenti erano le crocerossine, noi tuttavia avevamo soltanto un prete: un uomo di un’audacia unica, non si faceva problemi a gettarsi sul campo a recuperare i feriti. Non aveva paura nemmeno di morire, forse aveva fretta di andare in paradiso.
- Che rapporti c’erano tra voi e la popolazione civile?
La popolazione ci appoggiava in tutto, se fosse stata contraria non ce l’avremmo mai fatta. In particolar modo l’aiuto dei contadini era decisivo in quanto ci sfamavano. Per dare il cibo ai soldati veniva talvolta sequestrato ai loro i viveri, tuttavia era regola rilasciare un buono in modo che, dopo la guerra, venissero risarciti adeguatamente.
Qualcuno se ne sarà anche approfittato, ma il regolamento era questo, ed era giusto perchè altrimenti l’esercito non avrebbe potuto sopravvivere, ma non si poteva nemmeno rubare il cibo alla gente.
- Quali sono i motivi politici che ti hanno spinto a partecipare alla resistenza? speravi in un furo migliore? In una rivoluzione socialista?
Il nostro obiettivo comunque era quello di arrivare alla rivoluzione socialista; alle prime elezioni In Toscana il partito comunista e socialista presero molti voti, ma a livello nazionale non andò così, la DC stravinse.
Ovviamente speravamo nella Russia sovietica, volevamo fare come loro, vincere le elezioni, fondare cooperative di operai ecc.
Ma anche quando ci fu l’attentato a Togliatti la rivoluzione non partì perchè a detta di lui le navi americane erano pronte a intervenire in caso di rivolta rossa. Avevamo occupato le fabbriche e la stazione, addirittura da quanti eravamo i carabinieri ci dissero “se succede qualcosa noi ce ne andiamo...”
La vittoria della DC fermò tutto. Era evidente che aveva grossi appoggi esterni, la loro propaganda era capillare soprattutto in luoghi come le Chiese, andavano dalle donne a dire “se voti comunista vai all’inferno”; inoltre ci sarebbe da chiedersi come facevano ad essere così radicati nel territorio quando nei comitati di liberazione erano una delle minoranze.
Successivamente capimmo che erano pesanti gli strascichi del regime: la fascistizzazione delle forze dell’ordine rese possibile la repressione dello sciopero. Quante se n’è prese... facevano caroselli con le jeep, e poi manganellate e lacrimogeni. Nonostante la presenza fascista nelle forze dell’ordine c’è da dire che anche se qualcuno nell’arma non era fascista si limitava a eseguire gli ordini senza discutere.
Poi morì Berlinguer... poi altre divisioni...
- Che rapporto c’era con le armate alleate?
Il rapporto era buono, il nostro capitano era inglese, dopo la guerra il nostro plotone si riunì e ricevette le lodi del generale Alexander in persona.
Dato che eravamo gente comune gli alleati pensavano che non fossimo abituati alla guerra e che saremmo fuggiti in combattimento. Ma i nostri ideali erano talmente forti da farci rimanere a combattere sul fronte. È ovvio che tutti avevamo paura e forse qualcuno è stato talvolta un passo indietro, ma andammo comunque avanti. Inoltre eravamo poco più che ragazzi.
- Cosa ci potresti dire a proposito del recente revisionismo di sinistra e riguardo alle cosiddette “vendette private”?
Nel periodo della liberazione sembravano tutti antifascisti, anche chi inizialmente era fascista di comodo. Quelli ancora fedeli al regime furono nella maggior parte dei casi presi e fatti lavorare o picchiati, ma sempre uomini contro uomini e donne contro donne. A empoli ad esempio la moglie di un noto fascista venne rasata a zero dalle altre donne con forbici da pota, dovevate vedere come era brutta.
Gli empolesi tuttavia sono stati anche troppo clementi con i fascisti scampati alla guerra, pochissimi di loro furono uccisi al loro ritorno. Dopo la fine della guerra comunque i soldati erano mandati a controllare le strade per evitare disordini.
Possono anche accontentarsi i fascisti a empoli, gli è andata anche fin troppo bene.
Ma alla fine comunque i fascisti “che contavano” si salvarono.
- Quali erano le condizioni di vita dei volontari per la libertà, come eravate equipaggiati?
Quando arrivammo alle caserme di Cesano notammo subito che erano senza luci, vetri, porte e letti; ci dettero del pagliericcio su cui dormire, l’uniforme e una coperta. E meno male che dovevamo essere trattati come gli inglesi.
Ci addestrarono per 28 giorni e poi subito in battaglia. Avevamo in dotazione l’MK1, i Thomson e lo Stan inglese, e eravamo addestrati tutti sui pezzi anticarro.
- Ci potresti raccontare un episodio che ci faccia capire cosa voleva dire essere in guerra?
Eravamo in provincia di Ravenna. Avevamo di fronte la terza e la quarta divisione paracadutista tedesca. Ci furono dei problemi con i mezzi di comunicazione, il telegrafo si era rotto, ci trovammo troppo avanzati sul fronte prendendoci le cannonate sia dai tedeschi che dagli alleati. Cercarono di mandarci il telegrafista a piedi con l’ordine ma pestò una mina e morì. Ma alla fine ci salvammo riuscendo a indietreggiare.
Il giorno dopo con l’aiuto di una brigata composta totalmente da ebrei riuscimmo a sfondare le linee nemiche e da lì in poi non incontrammo più resistenza fino a Bologna e poi in Veneto.
- Che rapporti avevi con la famiglia durante la guerra di liberazione?
La mia mamma pianse moltissimo, povera donna. Non voleva che partissi. Ci sentivamo scrivendoci lettere usando la posta militare. Ad ogni soldato era dato un numero al quale la famiglia poteva scrivere non potendo però sapere dove mi trovavo.
- Come pensi che siano nati i nuovi movimenti giovanili fascisti?
Inanzi tutto l’ignoranza, spesso sono vagabondi, figli di fascisti o di delinquenti; altrimenti non farebbero quelllo che fanno. Inoltre sono sicuramente finanziati dallla destra anche presunta moderata, come all’epoca i fascisti erano finanziati dai proprietari terrieri. Non temo comunque un loro ritorno di massa, in quanto ad oggi nemmeno i padroni vogliono il ritrorno del regime.
- Quali sono le nuove prospettive dell’anpi?
Noi invecchiamo, e molti di noi non ci sono più. Per mantenere viva l’associazione, al congresso del 2006 fu decisa l’apertura al tesseramento giovanile, altrimenti l’anpi sarebbe finita come l’anppia. Il nostro statuto ora dice “coloro che difendono l’antifascismo, la costituzione e la resistenza hanno pari valore dei partigiani, cioè coloro che hanno combattuto all’epoca”.
- Che cosa ne pensi della recente tendenza di mettere sullo stesso piano partigiani e repubblichini?
Non mi fa bestemmiare! I repubblichini erano coloro che sventravano donne incinte con le baionette e giocavano al tiro al piattello usando i bambini al posto del piattello, erano delinquenti, avanzi di galera anche se i nazisti hanno fatto peggio.
- Che consiglio daresti alla sinistra dei giorni nostri?
Ci vuole unità! Bisogna riuscire a riunire tutti sotto un solito programma. La realtà è che la rivoluzione era possibile farla prima del 21 quando vi era un solo partito, quello socialista, al tempo avevamo i numeri per farlo. Vediamo oggi i risultati del processo di disgrezione che va avanti ormai da quasi un secolo.
Finche non ci sarà unità nelle sinistre vinceranno sempre le destre in quanto hanno più disponibilità economiche e sono preparati a svolgere bene il loro ruolo.
- Cosa ne pensi del fatto che oggi il tricolore sia associato sempre più spesso all’estrema destra invece che alla lotta di liberazione?
Ti dico soltanto che il tricolore fu dato a noi che stavamo combattendo contro i nazifascisti a tutti gli effetti invasori. Sono stati loro a tradire il popolo i taliano, e quindi il tricolore.
Loro vorrebbero usare il tricolore come simbolo? Loro si riunivano tutti solo sotto il nero!

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