mercoledì 5 ottobre 2011

Incontro con il partigiano Ugo Morchi


Ugo Morchi è stato uno dei protagonisti della Resistenza fiorentina. Prima come partigiano della 7a Compagnia Autonoma Settimino Agostini e della 3 brigata Rosselli bis poi da segretario di sezione del Partito Comunista della Ginestra, ha combattuto per la liberazione dal dominio nazifascista dell’Italia.

Siamo stati ad intervistarlo alla vigilia del 25 aprile e la cosa che ci ha colpito di più è stata la sua meticolosa precisione e costante dedizione che in tutti questi anni ha messo nel conservare, catalogare e ricostruire dai documenti pervenutigli, la sua storia, quella della sua famiglia e dei fatti più rilevanti accaduti nel Ventennio e non solo. Attualmente vive a Fibbiana (Montelupo Fiorentino) e la sua casa assomiglia più a un museo o a una vecchia biblioteca che a una vera e propria abitazione: conserva ancora tutti i documenti più particolari che hanno segnato il suo percorso politico, come ad esempio tutte le sue tessere di partito e quelle di suo padre, le svariate lettere, i riconoscimenti al merito personali e militari gelosamente custoditi; ma soprattutto una infinita collezione di ricordi e aneddoti che non si perita a raccontare e condividere. Appassionato di lettura, soprattutto di storia, geografia e politica, emblema vivente della classica saggezza popolare di chi ha studiato poco a scuola e molto nella vita; carattere mite, indole riflessiva, operosità, perspicacia e rispetto dell’altro si coniugano ad un forte senso del dovere e un coraggio da vendere, in una compostezza e riservatezza tutt’altro che settaria. Ugo Morchi ha vissuto i momenti più importanti della storia del nostro paese da umile cittadino, ne conserva i ricordi e ci ha dato l’opportunità di conoscerne i particolari, soprattutto quelli legati ai nostri luoghi, anch’essi facenti parte a pieno di una grande eredità da non disperdere.

Riportiamo di seguito un frammento del colloquio...

Cosa significava vivere in Italia nel periodo del regime fascista?

Molto semplicemente significava non essere liberi. Già all’età di 18 anni avevo passione per la lettura e un mio amico sindacalista mi consigliò un libro di Jack Londonil tallone di ferroil quale parlava di rivolte sociali e che per questo era proibito. Per procurarmi questo tipo di libri dovevo comprarli ad una bancarella di un mio amico il quale vendeva, oltre ai libri che erano permessi, anche quelli vietati ovviamente sottobanco. Un altro esempio di cosa voleva dire vivere in quel periodo ed essere dissidenti era anche la difficoltà a trovare lavoro. Le conseguenze della guerra furono pesanti per vari tipi di impiego, grazie ai quali si reggeva la vita di tanti paesi e città. Inoltre, le imposizioni del regime su questo versante erano tante: per trovare lavoro dovevi essere tesserato al partito fascista. Mio padre non accettò la tessera del fascio per trovare un impiego, egli si recò da un padrone e gli disse che non aveva la tessera ma che prima di mandarlo via avrebbe dovuto almeno metterlo alla prova come lavoratore, fu così che ebbe il posto: era un uomo molto coraggioso.Molti italiani si dovettero piegare a queste condizioni per garantirsi il minimo indispensabile e riuscire a sfamare le proprie famiglie.

Quale era la brigata a cui appartenevi? Dove e in cosa consistevano le vostre azioni?

Inizialmente costituimmo la 7a Compagnia Autonoma Comunista Settimino Agostini, un compagno caduto per mano dei tedeschi; successivamente il capitano Mario del Monaco da Firenze organizzò la 3a brigata Rosselli bis costituita da un esule istriano fiorentino Carlo Francovic, uno studioso di primo ordine. Eravamo una trentina di ragazzi specializzati per lo più in azioni di guerriglia volte principalmente a troncare le vie di comunicazione nei modi più disparati, anche semplicemente cambiando i cartelli stradali di indicazione.

Operammo per la maggior parte del tempo in Val di Pesa, nei comuni di Montespertoli, Lastra a Signa e Scandicci. Un compito di particolare importanza che dovemmo svolgere fu quello di proteggere un vecchio castello trecentesco situato presso Montegufoni nel quale erano contenuti almeno l80% dei quadri che compongono la collezione degli Uffizi. Fummo elogiati per questo servizio.

Potresti raccontare un episodio significativo delle azioni a cui hai partecipato da partigiano?

Nel43 nella zona di Marlianoa nord di Ginestra fiorentinapresso una fattoria, erano tenuti prigionieri 5 soldati inglesi e sudafricani, io, come molti altri cittadini, portavo loro del cibo di nascosto. Ma i repubblichini della banda Carità ci scoprirono, fucilarono sul posto un prigioniero e misero dei manifesti dove c’era scritto che chi avesse aiutato i prigionieri sarebbe stato fucilato o deportato, e si offriva una ricompensa a chi avesse fatto la spia. Ma continuai lo stesso ad aiutarli; una volta a settimana portavo loro due borsoni pieni di viveri, cercavo di rendermi utile anche in altri modi, ad esempio riparai le scarpe ad alcuni di loro. Anche loro mi ricambiavano come potevano: uno di loro era un pittore e mi fece un ritratto. Alla fine scoprirono anche me e un altro ragazzo, fummo convocati in caserma, ma per nostra fortuna il maresciallo dei carabinieri decise di interrogarci da solo senza ufficiali del regime, ci disse che sapeva cosa avevamo fatto ma che ci avrebbe graziato. Dopo quasi un anno, con l’arrivo degli alleati, tramite la prefettura di Firenze vennero chiamati coloro che avevano aiutato questi prigionieri. Fui convocato dopo la compilazione di un apposito modulo che conservo ancora e mi consegnarono una ricompensa in denaro e un diploma speciale firmato dal comandante delle truppe del Mediterraneo: il generale Alexander.

Sempre sotto l’occupazione tedesca ebbi modo di salvare un pilota francese.

A San Casciano Val di Pesa una colonna di carri armati tedeschi fu attacca da una squadriglia di caccia inglesi. Nello scontro a fuoco uno di questi apparecchi fu colpito e precipitò. Il pilota riuscì comunque a sopravvivere e a fuggire lungo il corso della Pesa. Una ragazza della Ginestra vide il pilota francese e corse in paese a chiedere aiuto; io mi offrii per andarlo a soccorrere. Il soldato si trovava sulla riva destra della Pesaquella sinistra era tutta occupata dalle forze militari tedeschecercando di risalire il corso nascondendosi fra le canne. Riuscii ad incontrarlo senza essere scoperto e portarlo fuori dal paese dove vi erano altri prigionieri inglesi; lì stette fino alla liberazione.

Quali erano i motivi politici che ti hanno spinto a partecipare alla Resistenza? Quali invece erano le speranze per il futuro politico in Italia nell’immediato dopoguerra?

Innanzitutto i miei genitori erano antifascisti, mio padre era iscritto al Partito Comunista ed io di conseguenza ebbi una formazione affine anche se provavo particolare simpatia verso le forze alleate inglesi e francesi. Ovviamente speravamo di poter fare come in Russia perché era il mito sovietico a spingere noi comunisti nella lotta armata e sociale affinché si raggiungesse anche in Italia il socialismo. Ma dovevamo tener conto dell’influenza anglo-americana, questi infatti non avrebbero mai permesso una rivoluzione socialista nei paesi liberati dal nazifascismo, su questo non posso che essere d’accordo con la linea portata avanti da Palmiro Togliattiquella che poi portò alla scelta della via italiana al socialismocreare una democrazia progressiva aperta a tutte le forze antifasciste; un’unità che rischiava di essere spezzata dalle rivalità e dai conflitti tra le brigate partigiane e le tensioni con gli angloamericani: un patrimonio irrinunciabile per il Pci dopo la guerra. Le priorità ci imponevano un percorso a due tappe funzionale ad un inserimento del Pci nella democrazia, mentre il salto rivoluzionario fu rimandato a un secondo tempo, anche se la prospettiva rivoluzionaria restava il caposaldo dell’ideologia che ci guidava. Questa scelta fu meditata anche per evitare una repressione da parte delle forze alleate come invece avvenne in Grecia, dove non fu permesso alcun passo verso la rivoluzione sociale.

In che modo sei entrato in contatto con le forze alleate?

Nella nostra zona facevano servizio una brigata di ufficiali inglesi, due brigate indiane e una brigata corazzata canadese, erano carristi. I contatti fra le forze partigiane e quelle alleate erano frequenti perché condividevamo degli obiettivi di fondo, come appunto la liberazione di punti strategici dalla presenza tedesca. Obiettivi che implicarono naturalmente un’azione congiunta ed un aiuto reciproco. Gli alleati, ad esempio, ci dettero una fascia con scritto civil police in quanto non c’era in quel momento una forza di polizia statale che potesse mantenere la sicurezza nelle città.

Come erano i rapporti con i tuoi compagni all’interno della brigata? E quelli con la famiglia e la popolazione civile?

Nella brigata i rapporti erano molto buoni, eravamo amici e compagni tutti nella stessa condizione, si viveva di poco ed eravamo tutti disoccupati ma questo non ci faceva disperare anzi ci spingeva a condividere di più quel poco che avevamo: paradossalmente direi che oggi siamo afflitti più di allora nonostante il maggiore benessere. Io sono entrato a lavorare nel46 prima di allora la mia famiglia viveva di quel poco pane e olio che mio padre riusciva a portare a casa; era una condizione comune delle famiglie contadine e operaie di allora e implicito era aiutarsi a vicenda. Anche mia madre, la quale lavorava al servizio di un medico, percepiva come compenso qualcosa da mangiare perché soldi non ce n’erano. La popolazione civile aiutava la brigata, le donne erano brave nelle operazioni di spionaggio ad esempio; inoltre anche alcune famiglie benestanti che si erano iscritte al fascio solamente per convenienza ma non si iscrissero anche alla Repubblica Sociale ci aiutavano come potevano: ad esempio mi fornirono gli alimenti che portai ai prigionieri inglesi.

Alla fine della guerra con il trionfo del Fronte Antifascista e le prime elezioni libere dopo il Ventennio che prospettive c’erano per l’Italia?

C’era innanzitutto un grande entusiasmo per la ricostruzione, per poter tornare a lavorare i giovani ripulivano le strade dalle macerie e ricostruivano case e fabbriche senza nessun compenso, infatti ci fu un grande sviluppo in pochissimo tempo. Anche nei luoghi della politica e del potere c’era un grande impegno e un grande rispetto reciproco oltre a un forte senso dello Stato tra le forze che avevano combattuto nel CLN. C’era in tutti la volontà di lasciarsi alle spalle l’esperienza del regime ed i logoranti anni di guerra che avevano messo in ginocchio tutto il paese.

Da partigiano tesserato all’Anpi da molto tempo, secondo te quali sono le prospettive e gli obiettivi che deve ancora raggiungere questa associazione?

L’associazione dei partigiani d’Italia, soprattutto nelle nostre zone, ha fatto già molto: è cresciuta a dismisura con l’ingresso di molti giovani e ha da sempre portato avanti i valori e il ricordo del grande contributo che le diverse formazioni partigiane hanno dato per le liberazione dell’Italia. Lo spirito che all’ora ci ha dato la forza di resistere e di ricostruire l’Italia, è vivo oggi anche grazie a tutto il lavoro che è stato fatto dall’ANPI in tutti questi anni.


Moro e Ilyushin

Nessun commento:

Posta un commento